Le prime uscite, con le bici così come con le donne, sono quelle mirate a stabilire l’esistenza di un feeling con quella che potrebbe diventare la nostra compagna per un lungo periodo.
Vediamo quindi come è andata la mia prima uscita ufficiale con la Fantic XF1 Casa Trail, l’e-bike full suspension della casa veneta che vi abbiamo presentato lo scorso agosto.
Prima, però, vi presentiamo le caratteristiche del modello che abbiamo utilizzato in questo Short Test.
Motore Brose 36 Volt con potenza massima di 250 Watt e coppia di 90 Nm.
Batteria agli ioni di Litio prodotta da BMZ, 630 Wh, garantita 36 mesi.
Display multifunzione e unità di gestione della potenza Brose.
Telaio in alluminio di taglia L
Forcella: RockShox Reba RL 120 mm per gomme 650b Plus fino a 3,0”
Ammortizzatore: RockShox Deluxe RL
Cambio: Sram GX 11 velocità
Pedivelle: Miranda Classic 0 – 170mm in alluminio
Corona: Fsa Megatooth 32T
Catena: Kmc X11E
Pignoni: Sram Xg 1175 FullPin 11v 11-42
Freni: Sram Level con dischi Avid G2CS da 200-180 mm
Pneumatici: Vittoria Bombolone 27,5x 3,00″
Cerchi: Gipiemme in lega di alluminio, raggi acciaio inox
Mozzo anteriore: Sram Mth 716 15x110mm
Mozzo posteriore: Sram Mth 746 12×148 mm
Manubrio: alluminio a doppio spessore, rise 18 mm, larghezza 740mm
Attacco Manubrio: Fantic rise 8°
Reggisella: Contact Sl Switch – diametro 30.9 – lunghezza 400 mm – travel 120 mm
Sella: Prologo Nago X10 Cpc Tirox (rail in acciaio)
Manopole: Gist
Pedali: Shimano M520 Spd – 380 gr coppia
Da segnalare che reggisella telescopico, sella e pedali sono una scelta fatta appositamente per questo test e non sono quelli forniti di serie da Fantic.
Peso: 25 Kg con pedali e batteria long range da 630 wh.
Prezzo (con allestimento di serie e batteria maggiorata): € 4.490
E infine questa è la geometria della bici:
E ora in sella…
Dopo un paio di brevi uscite dedicate alle regolazioni di sella, attacco manubrio, forcella ed ammortizzatore posteriore, e presa confidenza con i comandi di assistenza del motore Brose, è arrivato il momento di pedalare.
Pronti via, si parte.
Un tratto di alcuni chilometri di asfalto, inevitabile per me che abito alle porte di Milano, accompagnato da un po’ di traffico che scorre al fianco di una preziosa ciclabile, e sono sul lungo viale che termina all’ingresso della restaurata Reggia di Monza, racchiusa nel più vasto parco cintato d’Europa.
I viali asfaltati che solcano il parco, in parte chiusi al traffico, sono spesso affiancati da sentieri sterrati utilizzati da runner, cavalieri e biker.
Qui faccio entrare in gioco l’assistenza del motore Brose impostando l’assistenza sul primo livello , il Cruise, tralasciata fino a questo momento per via della scorrevolezza del tratto iniziale, dedicato al riscaldamento muscolare.
Quindi sblocco la forcella tramite il comando remoto e poi l’ammortizzatore posteriore tramite la piccola leva, facilmente individuabile sin dal primo utilizzo.
La pedalata è sciolta, accompagnata da un leggerissimo ronzio del motore nei momenti in cui l’assistenza entra in gioco, la guida intuitiva e sicura, probabilmente grazie anche al possente avantreno coadiuvato da enormi gomme da 3,0”, così anche per il retrotreno, con il carro che asseconda dolcemente i numerosi avvallamenti del terreno.
Proseguo così per alcuni chilometri costeggiando il corso del fiume Lambro, fino a raggiungere il golf, dove esco dal parco, seguendone le mura esterne.
Ancora un po’ di asfalto e poi di nuovo sterrato, che diventa più impegnativo.
Siamo nella zona del Percorso dei Guadi, così chiamato per i numerosi attraversamenti del Rio Pegorino, nel cui alveo è presente acqua a seconda delle stagioni.
Mi attende subito un breve ma impegnativo tratto in salita, con tre curve a gomito, solitamente impossibile da percorrere con una mountain bike classica per via della pendenza accentuata e delle numerose radici affioranti.
Provo con la Fantic.
Il primo tratto lo supero facilmente, poi c’è la prima curva secca in pendenza accentuata, e lì mi blocco.
Torno indietro e sposto l’assistenza su Tour, la seconda delle tre modalità previste, e riprovo.
La spinta è notevolmente più accentuata, tanto da farmi uscire dalla curva secca con quel minimo movimento che mi permette di proseguire sul tratto in contropendenza, ed arrivare alle prime radici, che supero agevolmente fino alla curva successiva, dove incontro una radice-gradino posta ad angolo sul tornantino, impossibile da superare se non con un gesto quasi trialistico, possibile a pochi.
Sono soddisfatto del tratto percorso e comincio a spingere. Il peso in salita si fa sentire e l’assistenza alla spinta, selezionabile tramite un’opzione di un tasto del selettore, risulta quasi inavvertibile.
Risalgo in sella e riparto, apprezzando una notevole scioltezza di pedalata raffrontata a quella della mia Mtb, che pesa circa la metà, con cui abitualmente affronto il percorso.
Su e giù, immerso nel bosco, tra il battere frenetico dei picchi che abitano il bosco, mi godo il percorso, affronto un paio di tratti tecnici che supero agevolmente, così come la scalinata in legno.
Mentre sono fermo per un paio di scatti fotografici passano due biker che si fermano a chiedermi informazioni sulla bici.
Uno di loro possiede una e-bike, di cui è molto contento, e ci scambiamo opinioni sui mezzi prima di salutarci.
In un paio di attraversamenti del Pegorino incontro un filo di acqua che scorre, perdendosi però in alcuni anfratti poco più a valle; li supero agevolmente senza evitare di bagnare i piedi ed il motore, protetto da una avvolgente scocca in materiale plastico.
Un altro breve tratto di asfalto mi separa dal bosco, incredibilmente vero per essere a pochi chilometri da Milano: una pineta dove spesso si incontrano “i fungiàt” (i cercatori di funghi nel dialetto brianzolo, ndr) solcata da un esile sentiero pieno di insidiose radici affioranti, su cui passo agevolmente con un minimo sussulto grazie agli enormi pneumatici da 3,0″ e alla forcella RockShox Reba.
Percorro a velocità sostenuta un tratto in discesa, una traccia scavata tra il muro di un convento e un campo di granoturco, appena seminato, districandomi agevolmente tra profondi solchi creati dal passaggio di un mezzo agricolo.
Un tratto tra i campi ed ecco di nuovo una bella discesa, molto veloce, da affrontare con cautela per via del copioso fogliame depositatosi durante l’inverno, che cela insidiose radici e rami.
Poi un breve toboga mi porta fino ad un rio, un tempo attraversabile tramite un ponte ormai distrutto, diventato uno dei punti più tecnici del giro.
Scendo velocemente fino all’alveo e poi riprendo a pedalare per risalire sul ripido e fangoso versante opposto, utilizzando il minimo supporto fornito dell’impostazione Cruise, per poi affrontare uno strappo deciso con il minimo sforzo.
Ennesimo tratto di asfalto per seguire il sentiero pianeggiante che costeggia il corso del fiume Lambro, frequentato da numerosi biker.
Incremento i rapporti e aumento la frequenza di pedalata oltrepassando i 25 km/h con la bici che prosegue imperterrita la sua marcia, facendomi sentire il suo effettivo peso solo nei tratti di rilancio in salita.
La meta del pranzo non è lontana, e mi aspetta un piatto che amo particolarmente ma raramente ho l’occasione di mangiare: il rognone di vitello trifolato.
Mi fermo a La Zuccona, un ristorante a gestione famigliare, in cui si possono assaporare i piatti della tradizione brianzola, come il risotto giallo alla monzese con la salsiccia.
Vado in cucina a fare un paio di foto a Elio (foto in basso), che in men che non si dica mi prepara il rognone, e a scambiare quattro chiacchiere della sua esperienza con Antonino Cannavacciuolo, lo chef che ha ambientato qui una delle puntate di un suo famoso format televisivo.
Lasciato il ristorante risalgo in sella, consapevole che dopo poche centinaia di metri mi aspetta un impegnativo tratto in discesa, con ben 28 gradoni di svariata altezza, formati da dismesse traversine ferroviarie che metteranno alla frusta forcella e carro.
Il peso della batteria, per di più maggiorata, non giova certo all’avantreno, che svolge però egregiamente il suo compito, senza raggiungere mai il finecorsa, come dimostra l’O-ring posizionato sullo stelo destro.
L’ultima parte off-road prevede un tratto in senso opposto a quello dell’andata, per affrontare in salita la scivolosissima tavola di legno con i gradini.
Con la mano sinistra imposto Tour e, simultaneamente con la destra, scalo un paio di rapporti.
Superata l’insidiosa tavola con la ruota anteriore penso di avercela fatta, ma la ruota posteriore perde aderenza e, sollecitata dal motore, comincia a slittare, costringendomi a mettere piede e mano sinistra per terra, sotto lo sguardo incredulo quanto sbigottito di un simpatico scoiattolo.
Mi rialzo e spingo a fatica la bici fino ad un tratto con minor pendenza, da dove riprendo a pedalare, per gustarmi l’ultimo tratto di bosco.
Percorrendo la ciclabile che mi riporta verso casa faccio mente locale dei vari tratti del percorso, raffrontandoli nuovamente con la mia full, e posso dire di essere soddisfatto di questa “prima uscita”: 60 chilometri e 500 metri di dislivello in salita in poco meno di tre ore (pranzo escluso), con due tacche di batteria su dieci utilizzate.
E di nuovo pronto a salire in sella… per un test certamente più impegnativo di cui vi racconteremo presto.
Per ulteriori informazioni: Fantic-Bikes.com.